Oggi l’attenzione mediatica internazionale è concentrata su altri scenari emergenziali, lasciandone tanti altri in seconda pagina e alcuni quasi del tutto dimenticati, come l’Afghanistan che è in una situazione drammatica: la quasi totalità della popolazione rimasta nel paese vive in un contesto altamente emergenziale, in cui gli aiuti umanitari fanno fatica ad arrivare. Le condizioni delle donne, soprattutto di quelle che devono occuparsi da sole della propria famiglia, sono le più allarmanti.
Il posto delle donne e dei loro figli
Per le donne, il ritorno dei Talebani al potere ha significato il ripristino di forti restrizioni e discriminazioni. Le donne oggi non possono nemmeno uscire dagli spazi domestici senza essere accompagnate da un membro maschile della loro famiglia. A causa dell’alto tasso di uomini morti nei recenti conflitti e delle conseguenze della pandemia e di altre patologie diffuse, oltre 2 milioni di donne sono vedove. Le loro possibilità, di conseguenza, di ottenere un lavoro, o anche solo di chiedere l’elemosina per contro proprio, è quasi assente. Per loro non solo l’autonomia e l’indipendenza economica sono impraticabili, ma sono a rischio anche le condizioni di sopravvivenza e accesso al cibo.
Per far fronte a tali situazioni, molti bambini lavorano o mendicano, con tutti i rischi psicologici, di sviluppo e fisici annessi, senza contare come il diritto all’educazione diventi ancor più precario, colpendo maggiormente le ragazze, da poco completamente escluse dall’educazione secondaria, uno strumento fondamentale anche per contrastare l’uso diffuso e tradizionale dei matrimoni precoci per motivi economici.
La conseguenza più drammatica, infine, è quella per cui molte madri che non riescono più a garantire nemmeno un pasto al giorno si vedono costrette ad abbandonare i propri figli davanti agli orfanotrofi. Le bambine e i bambini sono quindi estremamente vulnerabili, con oltre la metà della popolazione sotto i 5 anni che soffre di malnutrizione acuta.
La sopravvivenza a Robat Sangi
Nelle montagne della provincia nord-occidentale di Herat, nel distretto di Robat Sangi, le tradizionali coltivazioni agricole si sono molto ridotte a causa di una gravissima siccità che dura da ormai tre anni. Di conseguenza, i radicati usi rurali, quali l’economia di sussistenza e la solidarietà tra vicini, non sono più sostenibili e la fame si diffonde. Molti sono partiti. Tra di loro, alcuni sono riusciti a immigrare, mentre altri si sono riversati tra gli sfollati nelle strade delle grandi città del paese. Il tessuto sociale si dilania così gradualmente, sotto il peso delle estreme difficoltà quotidiane. In questo contesto, l’arrivo dell’inverno ha portato con sé un peggioramento generale delle condizioni di vita, in quanto nella regione le temperature scendono anche sotto i -10°C e molte strade si ritrovano bloccate, compromettendo l’accesso a beni e servizi di prima necessità.
I pochi abitanti rimasti nella zona di Robat Sangi descrivono quest’ultimo anno come il peggiore di cui abbiano memoria. A oltre 70 km di distanza dalla città più vicina, raggiungibile tramite sinuose strade di montagna spesso bloccate dalle tormente di neve o dalla fitta nebbia, le uniche fonti di guadagno sono al momento relegate alle poche piante resistenti alle condizioni avverse, come la liquirizia. Presente in grandi quantità nella regione, il raccolto delle sue radici avviene tra l’autunno e l’inverno. Nei villaggi di Qanat Wakil e Dezwari, le famiglie rimaste si recano nei campi: gli adulti con dei picconi e i bambini piccoli dietro ai trattori che, smuovendo di volta in volta la terra, portano in superficie le radici. Nei villaggi, i rivenditori ne comprano 4 kg per l’equivalente di circa 1$.
La famiglia di Morwarid
Dalla raccolta delle radici di liquirizia si sostenta la famiglia di Morwarid. Madre di sei figli, si è ritrovata a carico della sua famiglia circa un anno e mezzo fa, dopo che suo marito, dipendente da oppiacei, li ha abbandonati. Questa condizione è al quanto comune nelle zone rurali dell’Afghanistan, dove chi lavora nei campi di oppio finisce col farne uso per non sentire la fatica e la fame.
Nel giro di 2 o 3 giorni, la madre e i figli riescono a racimolare l’equivalente di circa 1 dollaro di radici. Con quello che guadagnano comprano zucchero, thè e riso, e pagano la tariffa delle macchine condivise per raggiungere i punti di vendita. Se non hanno abbastanza soldi, vi si recano in asino o a piedi. Tuttavia, la maggior parte del tempo, la famiglia di Morwarid si sostenta solo di pane secco e thè, seduti nell’unica stanza della loro abitazione in terra. Per intere giornate, girano alla ricerca di un po’ di farina o di qualcosa da mangiare. Prima, le famiglie della zona che vivevano della vendita e del consumo del grano erano solite offrire un terzo del loro raccolto ai vicini bisognosi. Oggi, si ritrovano anche loro a lottare ogni giorno per assicurare cibo e riscaldamento nelle proprie case.
La figlia maggiore, che ora ha 16, ha lasciato la casa tre anni fa, quando è stata data in sposa per l’impossibilità di ripagare un prestito. Gli altri figli hanno 12, 8, 4 e 2 anni. Un sesto figlio, Ahmad, è morto a gennaio scorso per il freddo, a soli 6 anni. Tuttavia, il freddo non è una diagnosi fine a se stessa. Si tratta di un fenomeno strutturale legato alla povertà e alla conseguente inaccessibilità ai servizi di base. Infatti, in una zona come quella di Robat Sangi, morire di freddo a casa propria è la conseguenza della difficoltà economica e concreta nel trovare materiali per scaldarsi e nell’accedere ai servizi sanitari, rafforzata dal fatto che a provvedere per Ahmad ci fosse solo sua madre. Lì dove abita, e in quanto donna sola, non ha alternative.
Il sistema sanitario
Dopo anni di conflitti, di epidemie legate alle carenze di igiene e di alimenti, e l’attuale crisi sanitaria legata al Covid-19, il sistema di salute nazionale è molto limitato in risorse e strutture. Queste carenze hanno portato a una sempre maggiore diffusione di pratiche corrotte, dove le prestazioni mediche sono spesso condizionate dall’ottenimento di un beneficio personale. In un tale sistema, la prescrizione di una ricetta costa oltre i 10$, a cui bisogna aggiungere i costi per raggiungere il centro di salute più vicino. In totale, per la famiglia di Morwarid una visita medica rappresenta, nei migliori dei casi, un mese di lavoro nei campi. Quando Ahmad ha iniziato ad ammalarsi, sua madre ha chiesto ai vicini qualsiasi somma per riuscire a raggiungere il centro più vicino, a circa 20 km di distanza. Tuttavia, nessuno aveva abbastanza.
Il ripristino degli aiuti umanitari
Nonostante le difficoltà di penetrazione dei soldi nel Paese a causa delle condizioni critiche dell’apparato finanziario, le negoziazioni con le nuove autorità e la riluttanza di alcuni donatori a causa delle situazione politica, è stato a poco a poco possibile reintrodurre programmi di aiuto umanitario di carattere monetario. Grazie al radicamento e alla possibilità di azione del partner locale Rural Rehabilition Association for Afghanistan (RRAA), WeWorld è riuscita a dare il via a un progetto di Cash for Food nelle aree rurali di Robat Sangi, a favore delle donne che si sono ritrovate a capo delle proprie famiglie. Quella di Morwarid è rientrata in tal modo tra le attuali 180 che beneficiano del programma, con un totale di più di mille persone tra cui i ¾ sono bambini.
Tra i beneficiari, il 95,5% soffriva di fame e il 71,1% di fame acuta durante l’assestamento, e alcuni di loro avevano mangiato solo pane nelle settimane precedenti. La loro grave mancanza di entrate li ha spinti ad adottare molti meccanismi di reazione negativi: chiedere frequentemente soldi in prestito per comprare cibo; tagliare le spese legate alla salute e all’eduzione; vendere qualsiasi oggetto, dai mobili, elettrodomestici, porte alle attrezzature legate alle loro attività di sostentamento e i loro mezzi di trasporto; ridurre il numero di pasti al giorno o reindirizzare le quantità degli adulti ai bambini. Per far fronte a queste tecniche nocive e in generale alle dure condizioni di in cui sopravvivono le famiglie selezionate dal progetto, l’aiuto si concretizza nella distribuzione di soldi e voucher per un equivalente di 90$ al mese a famiglia – cifra calcolata in base alla media di membri per famiglia e ai costi e disponibilità regionali-, per l’acquisto di beni alimentari e di materiali per riscaldarsi.
Durante la prima distribuzione, alcune donne hanno condiviso come pensano di portare dei cambiamenti positivi alle loro condizioni di vita. Con la fine dell’inverno, cessa la priorità del riscaldamento. Inoltre, la produzione, l’accesso e la disponibilità di alimenti dovrebbero diventare più facili. Così, si spera che da aprile il programma possa servire anche a far tornare a poco a poco una parte dei bambini beneficiari a scuola. Per ora, il partner RRAA porterà avanti un monitoraggio della distribuzione per ascoltare le impressioni delle famiglie e per raccogliere le esistenti storie di successo, insieme alle possibili lamentele e casi di uso improprio dei soldi. Dopo quest’attività in base ai suoi risultati, verrà organizzato un secondo turno di distribuzioni. Tuttavia, la volontà di WeWorld resta quella di aumentare i beneficiari, ma la crisi del sistema bancario rimane un grande ostacolo.
Attraverso le recenti vicende della famiglia di Morwarid, si possono esporre le tragedie che affliggono attualmente l’Afghanistan. Infatti, il lavoro e le morti infantili, il matrimonio forzato per le bambine, la dipendenza da oppiacei e la fame sono fenomeni tutt’altro che isolati.
“Ho perso il mio Jigar Goosha (parte del mio cuore) a causa della povertà. Solo Dio sa cosa succede nel cuore di una madre che perde il proprio figlio. Non si può descrivere con parole. Non lo auguro a nessuna madre”. Queste sono le parole di Morwarid. La sua storia, come quella di tante altre donne afghane i cui nomi ed esistenze abbiamo difficoltà a immaginarci, è fatta di estenuanti barriere e sforzi quotidiani. Per questo, un sostegno esterno, al momento l’unico disponibile, si delinea tanto fondamentale quanto urgente. La continuità dei programmi di emergenza dev’essere garantita dalla comunità internazionale, anche al livello dei singoli governi, insieme a una soluzione alla situazione del sistema bancario locale. La popolazione afghana non può permettersi in questo momento che vi siano tagli ai fondi della risposta umanitaria: hanno bisogno di soldi per dare da mangiare ai propri figli.