Siamo stati e state in Burundi per incontrare le donne che non riescono a condurre una gravidanza sicura perché mancano strutture sanitarie, attrezzature ed elettricità, cibo e acqua pulita. Ecco le loro storie.
"Mi chiamo Sifa. Ho 33 anni e sono arrivata in Burundi dal Congo 10 anni fa. Ora vivo qui nel campo profughi con mio marito e i miei sei figli. Ho avuto il primo dei miei figli a casa, avevo 21 anni. Gli altri cinque li ho partoriti qui [centro di salute nel campo profughi]. L'ultimo è nato proprio ieri. Il travaglio è stato il più difficile ma abbiamo ricevuto assistenza qui al centro di salute, mi hanno fatto un'iniezione e dopo è andato tutto liscio".
Abbiamo incontrato Sifa in Burundi dove, a seguito della pandemia da COVID-19, le condizioni di vita delle fasce più fragili sono diventate insostenibili. Qui le madri non riescono a condurre una gravidanza sicura a causa della scarsità di cibo, di acqua potabile e di strutture sanitarie. Queste ultime, infatti, non solo sono pochissime, ma anche inadeguate: i centri di salute locali, una sorta di ambulatori di comunità, sono sguarniti di dispositivi medici fondamentali, mentre gli ospedali con reparti ginecologici e pediatrici sono concentrati nelle poche grandi città, completamente scollegate dai villaggi. Una madre, già indebolita dalla fame, deve a volte percorrere decine di chilometri in strade sconnesse e pericolose su mezzi di trasporto non attrezzati, per raggiungere un ospedale e chiedere almeno una visita ginecologica con ecografia prima del parto, un servizio peraltro molto costoso. Se la madre ha la fortuna di dare alla luce suo figlio/a in un centro di salute, l’ambiente non sempre è sterilizzato (per scarsità di rifornimenti di medicinali e disinfettanti) e la corrente elettrica non è continuativa o presente: può, quindi, vedersi costretta a partorire di notte alla luce di una torcia del telefonino, quando questo è carico e disponibile.
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In questo contesto, però, uno dei rischi maggiori riguarda la malnutrizione che può creare malformazioni al feto e, post-parto, compromettere l’allattamento. Nei primi anni di vita del bambino/a, la scarsità di controlli impedisce un intervento tempestivo nelle forme di malnutrizione più severa, che porta spesso alla morte. In Burundi, il 65% dei bambini sotto i 5 anni d’età soffre di malnutrizione cronica e il tasso di mortalità nella stessa fascia di età è di 54 decessi ogni 1.000 nati vivi. Sebbene la malnutrizione non sia l’unica causa di mortalità infantile, è certamente un fattore determinante. Questa situazione, dovuta principalmente a un consumo alimentare inadeguato ed esacerbata dalla morbilità, deriva da un insieme di cause sottostanti quali l’insufficienza strutturale e funzionale del sistema sanitario e dei servizi igienico-sanitaria; un’economia agricola debolissima; la carenza di micronutrienti derivante dall’infertilità del suolo che è acuita dal cambiamento climatico; e, infine, una cultura patriarcale che privilegia la nutrizione degli uomini e lascia denutriti donne e bambini, perpetrando così una catena ininterrotta di povertà.
Il nostro intervento in Burundi
"Garantiamo tutto ciò che riguarda l'assistenza medica per i rifugiati e questo include anche l'assistenza medica per le donne incinte - spiega la dottoressa Happy Paulianne Mwete - Aiutiamo le madri in gravidanza e durante il parto, garantendo parti in sicurezza. E forniamo anche alcune vaccinazioni per neonati e mamme. Forniamo la maggior parte delle cure mediche essenziali o dell'assistenza necessaria per le donne incinte ma non possiamo dire che vada tutto bene. Abbiamo bisogno anche di alcuni materiali; ci sono alcune attrezzature mediche di cui abbiamo ancora bisogno per aiutare le madri, per aiutarle a partorire in sicurezza".
WeWorld è presente in Burundi dal 1994 con l'obiettivo di migliorare il servizio sanitario e il suo accesso, soprattutto nell’ambito della maternità, sviluppare un’economia agricola efficiente e sostenibile e rispondere ai bisogni specifici della salute della popolazione colpita da catastrofi naturali, epidemie e dalla persistente malnutrizione. In particolare con il Progetto DARE (al)LA LUCE, vogliamo garantire protezione, sicurezza e mezzi di crescita autonoma alle madri e ai loro bambini/e, la cui vita è già messa a rischio nel momento del parto per mancanza di un adeguato servizio sanitario. Vittime di malnutrizione, donne e bambini/e burundesi vanno supportati per rompere la catena della fame e della povertà e per porre le basi e avviare un processo di miglioramento del benessere individuale e comunitario. Il progetto affronta il problema della malnutrizione in tutte le sue dimensioni e cause, e affianca le donne destinatarie e i loro bambini in due percorsi fondamentali: la maternità (gravidanza, parto, allattamento e crescita dei figli), e l’indipendenza, ovvero il potenziamento delle donne in qualità di persone portatrici di pari diritti degli uomini, capaci di percepire un reddito, avere una voce, partecipare attivamente alla vita economica e politica della comunità. Per contribuire in modo sostenibile al miglioramento della sicurezza alimentare e nutrizionale di donne, bambini, bambine e della popolazione intera, e al benessere generale comune per una vita più degna e paritaria in termini di diritti, WeWorld si impegna in un programma mirato a rispondere ai bisogni fondamentali.
In questo contesto, il tema della luce è un filo conduttore importante: tra le azioni più importanti, la prima è adeguare i centri di salute perché le mamme possano partorire in sicurezza, ad esempio portando energia elettrica nelle sale parto per non dover partorire al buio e senza macchinari di emergenza in caso di urgenze. Un’altra azione fondamentale è il supporto nel contrasto alla malnutrizione ai Parentes Lumière, le “mamme luce” e i “papà luce”: sono donne e uomini scelti che vengono formati sul tema dell’alimentazione affinché seguano e aiutino tutte le famiglie della comunità ad affrontare il problema in tempo ed evitare i casi di malnutrizione più gravi. Un’ulteriore attività importante prevede che le donne vengano supportate e formate per gestire piccole attività e imprese locali, in particolare nella produzione dei foyer amelioré, i focolari domestici “migliorati”. Il focolare di casa, inteso come la cucina economica, è gestito dalla donna per cucinare, ma il forno comunemente usato dalle famiglie consuma molto (in quanto alimentato a legna) e libera un fumo nero particolarmente dannoso per la salute. Compito della donna, dunque, sarà non solo sensibilizzare le compagne e l’intera comunità sui vantaggi dei foyer amelioré, ovvero della cucina economica migliorata a basso consumo e meno inquinate, ma anche produrli e venderli.
I dati
Il progetto DARE (al)LA LUCE di WeWorld è attivo in 41 comuni di 8 province, raggiungendo tantissime mamme, bambine, bambini e le loro comunità.
- 314 mila persone possono usufruire dei servizi di 20 centri di salute comunitari muniti di sistemi autonomi per l’erogazione di energia, acqua, disinfettante
- 25 mila donne possono beneficiare di un’ecografia nel centro di salute della loro stessa comunità
- 119 mila donne sono supportate con distribuzioni di alimenti nutrienti e farine proteiche
- 9.821 donne con bambini/e di età compresa tra i 5 e i 6 anni diagnosticati come malnutriti, ovvero 15.109 bambini/e, sono supportate con distribuzioni di alimenti nutrienti e farine proteiche
- 1.004 Mamans Lumière ricevono formazione in tema alimentare per supportare e guidare tutta la comunità verso l’eliminazione della malnutrizione
- 1.300 artigiani di cui oltre la metà sono donne, sono rafforzate attraverso la formazione su imprenditorialità, produzione e vendita di foyer amelioré e l’opportunità concreta di avviare e crescere un loro business attraverso un credito
Destinatari totali finali:
Circa 3,5 milioni di persone residenti nei 41 comuni delle 8 province di Bujumbura, Cibitoke, Bubanza, Rumonge, Ruyigi, Rutana, Cankuzo e Kirundo in cui è implementato il progetto.