I cambiamenti climatici in quanto collettività riguardano il nostro presente, ancor prima del nostro futuro. Ad essere maggiormente impattati sono i paesi che hanno contribuito in maniera minore alle cause degli sconvolgimenti climatici globali in atto, come nel caso del continente africano, caratterizzato da elevate vulnerabilità che esacerbano la sua esposizione al rischio e da ridotte risorse in termini di capacità di adattamento e mitigazione. Dall’era preindustriale ad oggi il continente è responsabile di appena il 3% delle emissioni storiche totali, ma nonostante ciò risulta essere tra i più colpiti dalla crisi climatica in termini di riduzione della produzione alimentare, diminuzione della crescita economica, scarsità d’acqua, perdita di biodiversità, perdita di vite umane e spostamenti forzati all’interno e oltre i propri confini. In un sistema interconnesso come quello climatico ogni decimo di grado al di sopra della soglia di 1,5°C del riscaldamento globale genera impatti devastanti su intere comunità e sugli ecosistemi africani, rappresentando così un vero e proprio caso di ingiustizia climatica.
Nelle ultime settimane, a causa del fenomeno climatico El Niño, l'Africa orientale è stata colpita da piogge torrenziali e inondazioni senza precedenti, legate allo straripamento dei fiumi e innalzamento dei laghi che hanno causato diverse centinaia di vittime nella regione. In Kenya, ad esempio, quasi 20.000 persone nei campi profughi di Dadaab - che ospitano oltre 380.000 rifugiati - sono state costretti a spostarsi e lasciare la propria casa a causa dell'innalzamento del livello delle acque. Molti di loro fanno parte di coloro che sono arrivati negli ultimi due anni dopo essere fuggiti dalla grave siccità della vicina Somalia.
Il Burundi è uno dei venti paesi più vulnerabili ai cambiamenti climatici secondo l'Organizzazione Internazionale per le migrazioni. Nel Paese, invece delle consuete due stagioni delle piogge (settembre-gennaio e marzo-maggio), le precipitazioni sono praticamente ininterrotte da mesi. Da settembre ad oggi si stima che più di 200.000 persone siano state colpite da inondazioni, frane, venti violenti e grandine e il numero di persone costrette a spostarsi all’interno del proprio paese è aumentato del 25%, raggiungendo quota 98.000, secondo Violet Kenyana Kakyomya, la Coordinatrice residente dell’ONU in Burundi. Circa 32.000 rifugiati - quasi la metà della popolazione rifugiata del Paese - vivono nelle aree colpite dalle inondazioni e hanno bisogno di assistenza urgente.
Nell’area rurale di Gatumba e in tutto il resto della provincia di Bujumbura, capitale economica del paese e città principale sulla sponda nord del lago Tanganica, diversi quartieri sono stati allagati, strade e ponti distrutti e alcuni hotel e ospedali abbandonati a causa dell'innalzamento del livello dell'acqua del lago, determinando severi impatti ambientali, sociali ed economici. Le famiglie di rifugiati e molti burundesi, compresi gli anziani, hanno dovuto spostarsi più volte a causa del continuo innalzamento del livello dell'acqua. L'accesso al cibo e ad altri beni di prima necessità è sempre più difficile, poiché i prezzi sono aumentati a causa delle alte tariffe per l'utilizzo delle canoe per il trasporto delle merci. L'istruzione si è fermata perché le aule sono state allagate e il materiale didattico distrutto. Al di fuori di Bujumbura, i prezzi degli affitti sono raddoppiati, rendendo troppo costoso il trasferimento per molte famiglie di rifugiati, che non hanno altra scelta se non quella di rimanere nelle loro case invase dall'acqua. Anche il comune di Nyanza Lac, nella provincia di Makamba, un'area che negli ultimi anni ha accolto 25.000 rifugiati burundesi di ritorno dall'esilio, è stato duramente colpito.
Dal punto di vista sanitario, gli allagamenti di interi quartieri e l’inquinamento delle acque a causa di liquami umani e spazzatura, hanno esposto la popolazione a contrarre malattie potenzialmente mortali, con particolare riferimento a quelle contratte per via oro-fecale come il colera, rappresentando una seria minaccia, specialmente per gli individui più deboli come le donne incinte, le/i bambine/i e le/gli anziani.
Siamo presenti in Burundi dal 1994, con progetti legati ad acqua, nutrizione, sviluppo socio-economico e salute nelle stesse zone più colpite dall’alluvione. Per rispondere al bisogno ulteriore e rinnovato di assistenza umanitaria conseguente agli eventi senza precedenti degli ultimi mesi, oltre all’implementazione dei vari progetti di sviluppo sul territorio, facciamo parte dell’Équipe Humanitaire Pays (EHP) del Burundi, in coordinazione con tutti gli attori della risposta umanitaria nel Paese, per monitorare la situazione e valutare eventuali interventi in sostegno delle comunità colpite dai fenomeni atmosferici estremi.
Seppure i cambiamenti climatici siano i fattori scatenanti di eventi estremi come questo, nonché moltiplicatori di crisi e diseguaglianze sociali, ad esacerbare ulteriormente l'impatto delle inondazioni è la cattiva pianificazione e gestione dell'uso del suolo che non tiene dovutamente in considerazione le aree già ad altissimo rischio. Per il contrasto e la mitigazione dei cambiamenti climatici in Africa, inoltre, servirebbe un contributo maggiore a livello internazionale in termini di risorse economiche e finanziarie direzionate ai paesi più vulnerabili e maggiormente impattati, in nome di una reale giustizia climatica che tenga anche conto il riconoscimento della protezione internazionale per coloro che sono costretti a lasciare le proprie case a causa di eventi climatici estremi.