Nel 2012, le Nazioni Unite hanno proclamato il 6 febbraio come Giornata Internazionale per l’eliminazione delle Mutilazioni Genitali Femminili (MGF) per diffondere maggiore consapevolezza su questa pratica lesiva dei diritti umani e porvi fine. Le MGF comprendono qualsiasi lesione o procedura di rimozione (totale o parziale) dei genitali femminili esterni che deriva da ragioni culturali, religiose o comunque non terapeutiche. Le MGF rappresentano una forma di violenza di genere e violano i diritti umani della donna o della bambina nel quadro della giustzia sessuale e riproduttiva. In particolare, violano il diritto alla salute, all’integrità fisica e psicologica e la libertà da torture e trattamenti crudeli, inumani e degradanti.
Le motivazioni sociali e culturali alla base delle MGF vengono sostenute non solo da coloro che le praticano, ma alcune volte anche dalle donne che le subiscono, vittime della pratica stessa e del contesto sociale che la legittima: si tratta, infatti, di procedure basata su un’ideale di bellezza, di crescita e, soprattutto, di costruzione dell’identità sociale della donna e appartenenza alla comunità. Nel caso specifico delle bambine, invece, la MGF rappresenta un rito di iniziazione che simboleggia il loro ingresso nella vita adulta e matrimoniale e definisce la loro appartenenza di genere.
Quante sono ancora le vittime di MGF?
Nel mondo, circa 200 milioni di donne e le ragazze hanno subito MGF in 30 Paesi dell’Africa, del Medio Oriente e dell’Asia e, ogni anno, quelle a rischio di subirle sono circa 3 milioni.
In questi Paesi le MGF possono essere praticate in modo quasi universale (in Somalia, Guinea e Gibuti parliamo di più del 90% di donne e ragazze) e in circa la metà di questi sono eseguite su ragazze di età sempre più giovane: per esempio, in Kenya, l'età media in cui la bambina è costretta a sottoporsi alla pratica è scesa da 12 a 9 anni negli ultimi tre decenni.
Vista la loro radice sociale e culturale, si potrebbe pensare che le MGF siano effettuate solo in alcune aree geografiche. In verità, soprattutto a causa del fenomeno migratorio, queste sono diventate un problema di portata globale: al 2021, 600.000 ragazze e donne sottoposte a MGF vivevano in Europa. In Italia, in particolare, secondo gli ultimi dati (2018) le vittime di MGF, o a rischio di esservi sottoposte, erano 87.600 (di cui 7.600 bambine) con un’incidenza più elevata per quelle provenienti da Mali, Somalia, Sudan e Burkina Faso.
Gli effetti di queste pratiche
Le MGF sono veri e propri atti medico-chirurgici ma, nonostante ciò, sono spesso realizzati da personale non sanitario, quindi inesperto e non qualificato: membri della comunità locale, levatrici tradizionali o altre donne anziane del villaggio di appartenenza le eseguono in condizioni igieniche e sanitarie insufficienti o inesistenti, senza l’utilizzo di anestetici, antibiotici o materiale sterile e, quindi, con elevato rischio per la donna o bambina sottoposta di contrarre infezioni o morire a causa di emorragie.
Le MGF non comportano mai alcun beneficio per la salute e, anzi, causano sempre rischi immediati e complicazioni per la salute e il benessere fisico, mentale e sessuale della vittima, sia nell’immediato che nel corso della vita. Questi danni non sono né ridotti, né eliminati, dalla tendenza alla medicalizzazione della pratica, cioè dal suo svolgimento da parte di un operatore o operatrice sanitaria: la pratica della mutilazione genitale femminile è dannosa di per sé, intrinsecamente, perché causa sempre la lesione o l’asportazione di tessuti sani, a prescindere dalla persona che la realizza.
Tra i principali effetti delle MGF, nel breve e nel lungo termine, abbiamo:
· Dolore
· Attacchi di panico e shock
· Sindrome da stress post traumatico
· Emorragie
· Infezioni locali, dovute all’uso di strumenti non sterilizzati
· Infezioni genitali e del tratto urinario cronicizzate
· Nel caso di infezioni non curate, insufficienza renale, setticemia e morte
· Diminuzione del desiderio sessuale e dolore durante i rapporti sessuali
· Dolore e complicazioni ostetriche durante il parto e perinatali (per esempio, un aumentato rischio di taglio cesareo, emorragia post-parto, travagli più lunghi e dolorosi, lacerazioni ostetriche e degenza ospedaliera prolungata
L’impegno di WeWorld in Kenya nella lotta contro le MGF
WeWorld opera in Kenya dal 2009, nelle contee di Narok, Migori e Isiolo, dove è prevalente la presenza delle comunità somale, Maasai e Kisii, che praticano in maniera diffusa le MGF: pensiamo che si stima che il 21% delle ragazze e delle donne di età compresa tra i 15 e i 49 l’abbiano subita. Anche se tra le nuove generazioni c’è molta più consapevolezza dei rischi che si corrono a causa della mutilazione genitale, sia durante che dopo la circoncisione, la diffusione della pratica non è diminuita, anzi, è destinata a peggiorare a causa della pandemia.
“Temiamo ci sia del sommerso. Il problema, infatti, non solo persiste, ma si è acuito durante la pandemia. Le scuole, che per noi sono il primo presidio di controllo e il luogo in cui facciamo sensibilizzazione, sono state chiuse per molti mesi nel 2020. La mancanza di un presidio educativo così importante ha avuto il suo impatto: il Paese si è concentrato sulla lotta alla diffusione della pandemia e si è abbassata la guardia su altri aspetti, come gli abusi e le violenze contro bambine e donne, che invece sono aumentati”.
Annarita Spagnuolo, rappresentante Paese in Kenya per WeWorld
L’essere vittima di MGF ha effetti anche sull’educazione e l’istruzione delle ragazze e delle bambine: una volta praticato il taglio, queste saranno considerate pronte per diventare spose, il che comporta spesso un matrimonio precoce e il conseguente abbandono degli studi.
“Non sono stata sottoposta alle mutilazioni genitali femminili perché mio padre, dopo aver frequentato un corso di sensibilizzazione, ha compreso i rischi che correvo e si è opposto. Grazie a lui anche io mi sto impegnando per portare avanti un lavoro di sensibilizzazione nella mia comunità, per raccontare alle giovani ragazze le complicanze sanitarie di questa pratica, e non solo. Se questa pratica venisse del tutto eliminata, le ragazze potrebbero continuare gli studi e completare la loro istruzione senza incorrere in matrimoni, gravidanze precoci o complicazioni sanitarie”.
Purity, attivista in Kenya insieme a WeWorld
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