“Sono arrivata a Ventimiglia dalla Libia, dopo essere partita due anni fa dal Tigrai, una regione contesa tra Etiopia ed Eritrea dove la sicurezza è ancora estremamente precaria. Sono orfana da quando ero bambina, e per questo sono stata fin da giovanissima costretta dai miei zii a sposare un uomo più grande e a subire mutilazioni genitali”.

Queste sono le parole di Dana, una ragazza etiope di 23 anni, incinta al sesto mese, arrivata nel centro che gestiamo a Ventimiglia che, a partire dal 2014, è diventata uno dei punti di passaggio più importanti d’Europa per la maggior parte delle persone migranti che arrivano via mare e via terra e che tentano di attraversare qui il confine. Qui confluiscono infatti ben due rotte migratorie europee: quella balcanica e quella mediterranea.   

Delle migliaia di persone che arrivano, molte rimangono bloccate in Italia a causa dei continui respingimenti della polizia francese, che a partire dal 2015 si sono intensificati a causa della sospensione del Trattato di Schengen da parte del governo francese.  

Donne sole a Ventimiglia

Siamo Ventimiglia dal 2016, con interventi di assistenza alle persone migranti e richiedenti asilo in transito, perché i diritti umani siano garantiti per ogni persona. Dall'inizio dell'anno, sono 396 le donne (di cui 14 incinte), soprattutto da Eritrea, Etiopia, Costa d’Avorio, Nigeria e Tunisia che si sono rivolte ai nostri servizi sul territorio.

Già dall’anno scorso avevamo riscontrato una femminilizzazione dei flussi migratori a Ventimiglia, con numeri altissimi di donne, spesso in viaggio da sole, costrette a interrompere il loro viaggio e a stazionare in cerca di un riparo o di un passaggio sicuro, rischiando però di cadere vittime di reti criminali che organizzano attraversamenti irregolari della frontiera e tratta di persone a fini di sfruttamento, ingannate con la promessa di un riscatto della propria condizione una volta superato il confine italo-francese e soggette a innumerevoli rischi e soprusi. 

“Quest’anno il numero di donne che viaggiano da sole è meno elevato e le rotte migratorie sono cambiate: le donne migranti che abbiamo intercettato da inizio anno provengono principalmente da Eritrea, Etiopia, Costa d’Avorio, Nigeria e Tunisia mentre lo scorso anno arrivavano principalmente dall’Africa occidentale e dall’Africa francofona, tramite la rotta Tunisina, oggi fortemente minoritaria”.  

spiega Jacopo Colomba, responsabile del progetto di WeWorld a Ventimiglia -  

“Le donne che viaggiano da sole rischiano più di altre persone di cadere vittime delle reti criminali presenti sul territorio e sono quindi maggiormente esposte al rischio di tratta, spesso a scopo sessuale. Con lo sviluppo di nuove rotte migratorie, quest’anno sospettiamo che il rischio di tratta possa essere maggiormente a scopo di servitù domestica. 

“Servono più risorse dedicate affinché queste donne non diventino vittime di trattaContinuiamo a chiedere il ripristino del Trattato di Schengen, la creazione di nuovi dispositivi d'accoglienza e il rafforzamento di quelli esistenti e di un tavolo di coordinamento tra stakeholder e terzo settore per monitorare la situazione migratoria a Ventimiglia e proporre soluzioni rispetto a casistiche più specifiche.” 

Nel 2019 abbiamo avviato un progetto a Ventimiglia, insieme a Caritas Intemelia e Diaconia Valdese, per fornire servizi di supporto e assistenza a famiglie, donne e minori non accompagnati. Sono quasi 4000 le persone accolte da novembre 2020 a luglio 2024, di cui 1745 donne 674 uomini 1558 minori accompagnati.

Un impegno concreto per proteggere i diritti delle potenziali vittime

A livello globale, sono centinaia di migliaia le persone vittime di tratta ogni anno: questa moderna forma di schiavitù, a scopo di sfruttamento sessuale o lavorativo, colpisce spesso persone in condizioni di fragilità come i migranti, più facili da adescare e mantenere sotto controllo dei trafficanti con false promesse di un futuro migliore. Spesso le vittime vivono in situazioni di povertà e provengono da ambienti socioeconomici marginalizzati, da Paesi a basso reddito o da zone di conflitto.  

Il numero delle vittime di tratta in Italia, calato durante la pandemia, è poi ricominciato a salire raggiungendo nel 2022. Questi dati, tuttavia, sono sottostimati perché una parte del fenomeno rimane sommersa.

La scarsità di canali legali per entrare in Italia, unita alla paura di essere detenute nei Centri di Permanenza e Rimpatrio e, successivamente, espulse dall'Italia, può spingere le persone vittime di tratta – il più delle volte senza un regolare permesso di soggiorno – a non denunciare gli abusi subiti.

Per questo motivo, in occasione della Giornata Mondiale contro la Tratta di esseri umani, chiediamo alle istituzioni italiane ed europee un’attenzione e un impegno maggiore verso questo fenomeno che rende schiavi e schiave migliaia di donne, bambini e bambine, anche nel nostro Paese:

“L’Italia rimane uno dei principali luoghi di destinazione finale delle vittime della tratta di esseri umani, nonché una tappa di transito per altre mete europee. Proprio per l’estrema mutabilità della situazione, è necessario monitorare il fenomeno, fare rete ed essere presenti alle frontiere commenta Dina Taddia, Consigliera Delegata di WeWorld.Per sradicare la tratta di esseri umani, bisogna contrapporre alle false promesse dei trafficanti l’impegno concreto per proteggere i diritti delle potenziali vittime, e toglierle così dalla spirale del trafficking: il diritto alla vita, a un lavoro dignitoso, alla salute, la libertà da lavori forzati, torture e trattamenti crudeli, inumani o degradanti”.