A un anno dall'inizio dall'escalation del conflitto a Gaza, il 7 ottobre 2023, la situazione umanitaria continua a peggiorare di giorno in giorno. Quasi 1,9 milioni di persone, pari al 90% della popolazione totale, sono state costrette a lasciare la loro casa almeno una volta, spostandosi da un luogo insicuro all'altro. L'intera popolazione ha un estremo bisogno di assistenza umanitaria e la sistematica impossibilità di accesso, protrattasi per tutto l'anno, ha generato un'allarmante carenza di beni di prima necessità e il conseguente rischio di carestia imminente.
WeWorld è presente a Gaza dal 1997 e dall'ottobre 2023, abbiamo adattato i nostri programmi, impegnandoci in interventi salvavita a sostegno della popolazione in difficoltà, soprattutto di quella che si sposta costantemente all’interno della Striscia a causa dei continui bombardamenti. Intendiamo continuare ad estendere il nostro impegno, adattandolo alle esigenze della popolazione e al contesto in continua evoluzione.
Questi ultimi 12 mesi di interventi salvavita sono stati possibili solo grazie alla dedizione e all'instancabile impegno dei nostri colleghi di Gaza, che hanno saputo conciliare il lavoro umanitario con lo sfollamento e le perdite personali. Hanno sostenuto la loro comunità mentre sopportavano la stessa guerra e ci hanno fornito preziose informazioni sulla vita quotidiana di donne, uomini, bambini e bambine a Gaza. In mezzo al caos, queste storie rivelano non solo la forza e il coraggio della popolazione di Gaza, ma anche il grave costo umano della guerra in corso.
Un'operatrice umanitaria, una donna e una madre: la storia di Najat
Per Najat, madre di quattro figli e membro attivo del team umanitario di WeWorld, l'ultimo anno è stato un delicato bilanciamento tra sacrificio personale e dedizione ad aiutare gli altri.
Dall'inizio della guerra, WeWorld ha raggiunto oltre 639.698 persone in tutta Gaza, garantendo il fondamentale accesso all'acqua, ai servizi igienici e sanitari e al cibo. Per Najat, tuttavia, questo ha significato uscire dalla sua zona di comfort. “Prima preferivo lavorare in ufficio, dove mi sentivo protetta”, spiega. “Ma ora sono esposta sul campo ed è un'esperienza molto diversa”. Con il sostegno del marito, Najat ora usa una motocicletta per spostarsi nelle strade di Gaza, un mezzo poco comune nella Striscia ma essenziale per raggiungere le comunità nel bel mezzo della distruzione della guerra.
Ogni giorno, quando va al lavoro, Najat lascia a casa i suoi figli, senza mai essere certa dei pericoli che lei o loro potrebbero affrontare. “Cerco sempre di rassicurarli dicendo loro dove sto andando, ma è difficile”. “Essere sfollata, separata dalla famiglia e allo stesso tempo lavorare è davvero difficile”. Le difficoltà affrontate dagli operatori umanitari si fondono con il peso emotivo di vivere costantemente nella paura di ciò che può riservare l'istante successivo.
Le difficoltà di vivere in un campo sovraffollato: la storia di Sami e Tahrir
Come molte famiglie, Sami e Tahrir Abu Shanab sono stati sfollati molte volte. Hanno cinque figli, due dei quali con disabilità, per cui le difficoltà di sopravvivenza vanno oltre la minaccia immediata della violenza. Dopo essere stati costretti a fuggire dalla loro casa nell'area di Shuja'iyya, a Gaza City, e dopo essersi trasferiti due volte, ora vivononel loro terzo rifugio, il campo di Abu Setta nella Middle area, insieme ad altre 680 famiglie. Qui, l’accesso ai beni di prima necessità come l’acqua è diventato una lotta quotidiana.
"Ci svegliamo alle 4 del mattino per assicurarci un posto in fila per l'acqua", spiega Sami, raccontando di come aspettino ore per raccogliere appena 30 litri di acqua potabile. Le condizioni igieniche sono altrettanto disastrose. “C'è un solo bagno per più famiglie ed è sempre sporco”, dice Tahrir. "Mi sento in imbarazzo a usarlo perché c'è sempre una lunga fila di circa 70 uomini e donne mischiati insieme". L'igiene è diventata un lusso e il rischio di contrarre malattie è sempre presente nei campi sovraffollati, dove le persone possono fare la doccia solo una volta alla settimana. Per affrontare queste difficoltà, il team di WeWorld ha distribuito strumenti per la pulizia e l'igiene, come taniche, saponi, pannolini, assorbenti igienici e kit per l'igiene, a un totale di 46.000 famiglie - circa 320.000 persone in totale -, tra cui quella di Abu Shanab.
Vivere con disabilità in mezzo alla guerra: la storia di Hiba
A Gaza, la guerra non solo provoca lo spostamento delle persone, ma esaspera anche le condizioni di vulnerabilità esistenti. Hiba Abu Rizq, una donna di 40 anni nata senza gambe, ha subito è stata costretta a spostarsi più volte nell'ultimo anno. Ora vive vicino alla costa di Gaza ed è l'unica a provvedere al sostentamento della sua famiglia di dieci persone, la maggior parte delle quali con disabilità.
Con soli 3 litri d'acqua al giorno da dividere tra tutta la famiglia, si affidano alla nipote di 9 anni per andare a prendere l'acqua dai camion, che si fermano a centinaia di metri di distanza dal loro rifugio. Senza accesso a servizi igienici adeguati, Hiba ha dovuto scavare una buca nella loro tenda, coprendola con una tela: una soluzione inaccettabile in queste dure condizioni. “Era una realtà dolorosa a cui non potevamo sfuggire”, ricorda.
In questa difficile realtà, ci sono stati momenti di speranza. Il nostro team umanitario ha incontrato Hiba durante la valutazione del campo in cui si è spostata la sua famiglia, per costruire strutture igienico-sanitarie e fornire materiali per l'igiene. “Pensavo che fosse un sogno”, dice. Per sua grande sorpresa, nel giro di 3 giorni l'équipe è tornata e ha costruito un bagno per la famiglia e ha consegnato delle taniche per la raccolta dell'acqua in un punto a soli 20 metri di distanza, rendendo possibile agli altri membri della famiglia di raccoglierla. Inoltre, hanno ricevuto anche kit igienici su misura per le esigenze della famiglia.
La mancanza di risorse personali: la storia di Amal
Fuggire più volte è purtroppo diventato parte della vita quotidiana per gli abitanti di Gaza, come Amal Abu Qinass e la sua famiglia di 11 persone, costretti a fuggire per ben due volte e lasciandosi tutto alle spalle.
Come la maggior parte della popolazione di Gaza, non hanno altra scelta che affidarsi agli aiuti umanitari: “Non abbiamo soldi per comprare cibo, abbiamo perso i nostri guadagni, il nostro lavoro”, si lamenta Amal. Il nostro team a Gaza ha incontrato Amal mentre consegnava uno dei 7.000 pacchi alimentari distribuiti a un totale di 49.000 famiglie. “Penso che siamo fortunati, ora siamo in grado di ricevere uno o due pasti al giorno, prima sognavamo di poter avere anche solo un pasto”.
Mentre la guerra a Gaza continua, storie come quelle della famiglia di Najat, Tahir, Hiba e Amal rivelano il grave costo umano del conflitto. Nonostante la distruzione che li circonda, loro, come molti altri, restano forti e trovano il modo di sopravvivere e di mantenere la propria dignità. Come organizzazione umanitaria che opera a Gaza, siamo sul campo ogni giorno per fornire gli aiuti essenziali che possono entrare nella Striscia. Tuttavia, i bisogni sono immensi e gli aiuti umanitari devono poter giungere sempre e in quantità sufficienti. Nel frattempo, il prezzo emotivo per le famiglie è inestimabile. Per ogni storia di resilienza, ce ne sono innumerevoli altre di perdita e sofferenza. Continuiamo a essere al fianco della popolazione palestinese e a chiedere un cessate il fuoco a Gaza e in tutti i territori attualmente sotto attacco.