La prima indagine in Italia su povertà mestruale: quasi 1 persona su 6 non può comprare prodotti mestruali
Il rapporto realizzato con Equonomics e School of Gender Economics di Unitelma Sapienza unisce alla rilevazione WeWorld-Ipsos su povertà mestruale oltre 300 testimonianze e la stima del costo del congedo mestruale firmato da Azzurra Rinaldi
Secondo i dati che emergono dalla prima indagine in Italia sulla povertà mestruale, realizzata insieme a Ipsos, quasi 1 persona su 6 dichiara di non poter acquistare prodotti mestruali.
I dati dell’indagine sono preoccupanti: nonostantele persone intervistate dichiarino di perdere mediamente 6,2 giorni di scuola e 5,6 di lavoro in un anno a causa delle mestruazioni e del dolore provocato (1 persona su 2 dichiara di rinunciare/aver rinunciato almeno una volta a giorni di scuola e/o di lavoro a causa delle mestruazioni), 1 uomo su 5 si dice convinto che parlare di mestruazioni al lavoro sia poco professionale, 2 su 5 non si sentono mai o solo raramente a proprio agio a pronunciare le parole “mestruazioni” e “ciclo mestruale”.
Sono solo alcuni dei dati contenuti nella rilevazionecondotta su un campione di 1.400 persone, di cui 700 donne (che hanno tuttora o hanno avuto un ciclo mestruale) e 700 uomini, tra i 16-60 anni, rappresentativo della popolazione italiana e contenuti in enCICLOpedia. Le cose che dovresti sapere sulla giustizia mestruale, analisi realizzata con Ipsos.
“I dati di questa indagine confermano quelli recentemente usciti sulla povertà nel nostro Paese dove si raggiungono livelli mai toccati in precedenza, con 1 persona su 10 oggi in povertà assoluta - dichiara Martina Albini, Coordinatrice Centro Ricerche di WeWorld - La povertà mestruale che si registra in questo rapporto tiene conto non solo di chi non può acquistare i prodotti mestruali, ma anche di chi dichiara di non poter accedere a luoghi adatti dove gestire le mestruazioni (1 persona su 2 non trova il sapone nei bagni), a chi non aveva (e in molti casi ancora non ha) le informazioni adeguate all’arrivo del menarca (4 su 10) e ancora a chi non vede riconosciuto il proprio dolore, spesso invalidante”.
Dati che abbiamo descritto e approfondito all’interno del rapporto,in cui confluiscono anche oltre 300 testimonianze su come vivono la salute mestruale le persone con mestruazioni e un focus sul costo del congedo mestruale.
La povertà mestruale è un problema globale che colpisce tutte le persone con un ciclo mestruale che, per diverse ragioni, non hanno accesso ai prodotti mestruali, all’acqua, a spazi e strutture adatte a gestire le mestruazioni. Ma non è solo una questione di costi: anche non ricevere informazioni adeguate rispetto alla gestione del proprio ciclo mestruale, il non poter scegliere liberamente per il proprio corpo, il persistere di tabù e stereotipi sull’argomento, il dover rinunciare a praticare sport, a uscire, a partecipare a occasioni sociali per vergogna o imbarazzo, sono manifestazioni di povertà mestruale.
“La salute mestruale per WeWorld è un tema cruciale per questo da tanti anni lavoriamo per salvaguardarla; lo facciamo in Kenya, Tanzania, Nicaragua e in tanti altri paesi dove la povertà mestruale è una realtà e dove spesso mancano le informazioni necessarie per vivere le mestruazioni serenamente e con dignità. Attraverso corsi di gestione della salute mestruale in scuole e comunità aiutiamo le bambine a conoscere il proprio corpo e le proprie esigenze e, di conseguenza, a prendere decisioni libere e informate. In questi Paesi il problema è riconosciuto e ci si sta attivando per farsene carico, a differenza dell’Italia dove un’indagine come la nostra è ad oggi l’unica conclude Albini.
E se oggi nel mondo ogni mese sono oltre 1,9 miliardi le persone che hanno le mestruazioni, l’enCICLOpedia indica chiaramente che tutte hanno dovuto fare i conti almeno una volta con un atteggiamento discriminatorio che si somma ai vincoli che impediscono loro di acquistare prodotti mestruali, alla mancanza di informazioni e conoscenze adeguate, al silenzio, alla vergogna e alla segretezza che ancora circondano il ciclo mestruale.
Per promuovere una reale Giustizia Mestruale abbiamo lanciato un manifesto in sei passi, ripreso dall’indagine:
- Promozione di un discorso aperto e non giudicante sul ciclo mestruale
- Abbattimento della Tampon Tax
- Distribuzione gratuita dei prodotti mestruali in tutti gli edifici pubblici
- Introduzione nelle scuole di curricula di educazione alla sessualità e all’affettività, inclusa l’educazione mestruale
- Riconoscimento nei LEA di tutte le condizioni, patologie e disturbi legati al ciclo mestruale
- Istituzione del congedo mestruale.
E proprio a partire dall’ultimo passo prende l’avvio la stima effettuata da Azzurra Rinaldi, Direttrice della School of Gender Economics presso l'Università degli Studi di Roma Unitelma Sapienza, Co-Founder e CFO Equonomics: una stima dei costi che il congedo mestruale comporterebbe per lo Stato. Congedo, peraltro, a cui sono favorevoli oltre 8 persone su 10 tra quelle intervistate.
In Italia non esiste una legge specifica che regoli il congedo mestruale, mentre in altri Paesi è già realtà: in Europa la Spagna, ad esempio, ha recentemente introdotto un congedo di tre giorni per le donne che soffrono di dismenorrea primaria, vale a dire dolori intensi durante il periodo mestruale, ed anche in Giappone è una misura consolidata.
Per stimare il costo di questa misura, l’economista Azzurra Rinaldi avvia la sua analisi partendo dalla retribuzione media annua percepita dalle donne in età fertile in Italia: considerando una stima dei giorni di lavoro persi in un anno proprio a causa delle mestruazioni, 5,6 giorni secondo la rilevazione WeWorld-Ipsos, è possibile ipotizzare un costo di base per le casse dello Stato che ammonterebbe a meno di 1 miliardo di euro all’anno (esattamente a 994,5 milioni), laddove lo Stato si facesse carico del 100% della copertura o meno di 600 milioni di euro se la copertura fosse al 60%, come in Spagna.
“Il congedo mestruale è il minimo che possiamo aspettarci da uno Stato che sia veramente interessato a temi di Giustizia sociale - dichiara Azzurra Rinaldi – Dal calcolo realizzato all’interno di questa indagine, emerge che anche nella versione più estesa possibile, il congedo mestruale è una spesa che il bilancio pubblico può permettersi di sostenere, semplicemente facendo delle scelte e decidendo quali sono le vulnerabilità a cui dare supporto e porre rimedio. Partendo dai numeri, inoltre, anche qualora si decidesse di procedere con una copertura per tutte le lavoratrici in età fertile, e non solo per coloro che soffrono di dismenorrea, la spesa rappresenterebbe soltanto lo 0,25% del totale stanziato nella scorsa manovra finanziaria”.
La rilevazione dei dati
I risultati dell’indagine WeWorld-Ipsos, raccolti in sei sezioni, presentano un quadro allarmante, specie considerando che il ciclo mestruale rappresenta una questione di salute pubblica, di cui riportiamo le principali evidenze.
Parlare di ciclo mestruale e mestruazioni
- Più di 4 persone su 10 non si sentono mai o solo raramente a proprio agio a pronunciare le parole “mestruazioni” e “ciclo mestruale”.
- 1 persona su 3 chiama le mestruazioni “cose”.
- 1 persona su 2 ritiene che di mestruazioni e ciclo mestruale si parli troppo poco e in modo vago.
- 1 persona su 2 ritiene che bisognerebbe parlare liberamente di mestruazioni.
- Quasi 1 uomo su 5 ritiene che parlare di mestruazioni al lavoro sia poco professionale.
I prodotti mestruali utilizzati
- I prodotti più utilizzati per gestire le mestruazioni sono gli assorbenti esterni monouso, scelti da quasi 9 persone su 10, sia tra chi ha il ciclo attualmente sia tra chi non lo ha più.
- I prodotti riutilizzabili sono più diffusi tra le persone che hanno un ciclo oggi, rispetto a chi non lo ha più. In particolare, le mutande mestruali sono scelte dal 18% di chi ha ancora il ciclo contro il 9% di chi non lo ha più, gli assorbenti esterni riutilizzabili dal 13% contro il 5% e la coppetta dal 9% contro il 2%.
- Il 14% delle persone intervistate ricorre all’uso della carta igienica per la gestione del sanguinamento.
- Poco più di 3 persone su 5 si dicono pienamente soddisfatte dei prodotti mestruali utilizzati.
L’esperienza della povertà mestruale
- Poco più di 1 persona su 5 ha dichiarato di avere sempre/avere sempre avuto a disposizione e di potersi permettere i prodotti mestruali preferiti, sia in termini di quantità che di qualità.
- Il 16% del campione dichiara di non potere mai o solo raramente permettersi di acquistare i prodotti mestruali desiderati.
- Solo il 15% del campione ha/aveva sempre la possibilità di cambiarsi, liberarsi dei prodotti usati e, se necessario, lavarsi quando ha/aveva le mestruazioni.
- Le scuole o università risultano i luoghi meno adeguati alla gestione delle mestruazioni: 3 persone su 10 non trovano i bagni sicuri; 4 su 10 non li trovano puliti o adatti a garantire la privacy; quasi 1 persona su 4 dichiara che non si possono/potevano chiudere a chiave.
Il dolore e le problematiche connesse
- Solo il 5% di chi ha o ha avuto il ciclo dichiara di non aver mai provato dolore, il restante 95% sì, con un’intensità media di 6,9 su una scala di dolore da 1 a 10.
- 4 persone su 10 dichiarano di soffrire di sindrome premestruale.
- Solo poco più di 1 persona su 10 non ha bisogno di dover rinunciare ad attività a causa delle mestruazioni.
- 1 persona su 2 dichiara di rinunciare/aver rinunciato almeno una volta a giorni di scuola e/o di lavoro a causa delle mestruazioni.
- Il dolore provato durante le mestruazioni è la causa principale della perdita di giorni di scuola e lavoro: nel caso della scuola lo dichiara il 67% del campione, mentre per il lavoro il 71%.
- In media, le persone intervistate perdono 6,2 giorni di scuola e 5,6 di lavoro in un anno a causa delle mestruazioni.
Menarca e aspetti emotivi
- All’arrivo del menarca, 4 persone su 10 avevano solo una vaga idea di cosa fosse o nessuna.
- Il 15% del campione dichiara di non aver mai parlato con nessuno su come gestire le mestruazioni.
- Quasi 1 persona su 4 dichiara di non essersi mai rivolta a nessuno per parlare di perimenopausa e menopausa.
- Meno di 1 persona su 5 afferma di non aver mai provato una sensazione di vergogna legata al ciclo mestruale in alcuna circostanza.
- 1 persona su 5 è stata presa in giro almeno una volta a scuola, da amici maschi o al lavoro a causa delle mestruazioni.
- Per quasi 1 persona su 5 la preoccupazione maggiore quando ha/aveva le mestruazioni è/era di non poter acquistare prodotti mestruali.
Come supportare le persone che hanno le mestruazioni
- Poco più di 1 persona su 3 dichiara di aver seguito lezioni di educazione sessuale e affettiva a scuola. In più di 8 casi su 10 si è parlato anche di mestruazioni.
- L’offerta di percorsi di educazione sessuale e affettiva non è omogenea sul territorio nazionale: nel Nord Est ha seguito lezioni di questo tipo il 48% del campione, nel Nord Ovest il 40%, al Sud e nelle Isole il 29% e al Centro il 27%.
- Più di 8 persone su 10 si dichiarano favorevoli all’introduzione del congedo mestruale sia al lavoro sia a scuola.
- Più di 9 persone su 10 sono d’accordo con l’idea di distribuire prodotti mestruali gratuiti, soprattutto nelle scuole/università (54%), negli ospedali (47%) e sui luoghi di lavoro (38%).
L'analisi qualitativa - 300 testimonianze
La raccolta di voci ed esperienze è stata realizzata attraverso diversi metodi di indagine qualitativa: dalle interviste semi-strutturate e i focus group, alle testimonianze inviate attraverso la campagna condotta sui nostri canali social ed Equonomics. A febbraio 2024, abbiamo lanciato la campagna social #SeiPassiPer, dedicata proprio alla giustizia mestruale. L’hashtag della campagna rimanda al Manifesto di sei passi per la giustizia mestruale, che contiene le proposte e le raccomandazioni dell’organizzazione per portare ad azioni e cambiamenti concreti e costruire insieme il cammino verso una piena e completa giustizia mestruale. Questa iniziativa ha previsto la raccolta di testimonianze a partire dalla domanda “Come ti fanno sentire le mestruazioni? Raccontaci quando ostacoli e barriere ti hanno impedito di vivere le mestruazioni serenamente”. Abbiamo poi declinato questa richiesta in otto domande, chiedendo alle persone di sbarrare le caselle che rispondono alla propria esperienza, e di approfondirla nei commenti o tramite contatto diretto sui canali social.
- “Per gli uomini trans le mestruazioni sono un argomento molto pesante. Per fortuna non le ho più, prima mi dovevo estraniare dal mio corpo per non viverle. Le mestruazioni sono l’espressione esteriore di un corpo in grado di creare vita, ma allo stesso tempo un calvario da sopportare se si ha la sfortuna di non desiderarle o se sono portatrici di dolori”. - uomo, 38 anni
- “Durante le mestruazioni mi sento a disagio, sembra tutto molto più difficile da affrontare. Soprattutto fuori casa ho l’impressione di non riuscire a gestire la situazione. Sinceramente vorrei solo stare a casa tranquilla con tutte le comodità, soprattutto i primi giorni. In ogni caso, cerco sempre di reagire al meglio”. - donna, 54 anni
- “La situazione delle ragazzine con disabilità a scuola può essere terrificante; la mia è autonoma, ma non sempre ricorda di andare a cambiarsi nell’arco della mattinata. […] deve esserci l’attenzione di qualcuno e anche un aiuto se devono cambiarsi. Questo non è mai garantito al 100%, perché, anche se la ragazza è autonoma, se l’istituto non indirizza una bidella a tale scopo, la persona disabile rimane a casa oppure si sporca. Nel nostro caso sia la bidella che l’insegnante di sostegno si sono rivelate indispensabili anche per l’apprendimento dell’igiene a scuola, ma spesso e volentieri queste figure non esistono”. - donna, età non specificata
Focus: quanto costerebbe istituire il congedo mestruale in Italia?
In questo scenario, Azzurra Rinaldi, Direttrice della School of Gender Economics presso l'Università degli Studi di Roma Unitelma Sapienza, Co-Founder e CFO Equonomics, ha realizzato per noi una stima dei costi che il congedo mestruale comporterebbe per lo Stato, partendo però da un presupposto sconfortante: in Italia non esiste una legge specifica che regoli il congedo mestruale, mentre in Europa solo la Spagna ha introdotto un congedo di tre giorni per le donne che soffrono di dismenorrea primaria, vale a dire dolori intensi durante il periodo mestruale.
“Di fronte a questo vuoto legislativo – commenta Azzurra Rinaldi – nel 2016 è stato presentato un disegno di legge, mai approvato, d’iniziativa delle deputate Mura, Sbrollini, Iacono e Rubinato con l’obiettivo di garantire un adeguato supporto alle donne. Un altro disegno di legge è stato presentato a febbraio del 2023 e prevede l’introduzione di un congedo per le studentesse e le donne lavoratrici che soffrono di dismenorrea. In particolare, la proposta prevede l'istituzione del congedo mestruale scolastico, che consiste nel riconoscere fino a due giorni al mese di assenze giustificate per le studentesse che soffrono di dismenorrea, e del congedo mestruale lavorativo per un massimo di due giorni al mese”.
I costi del congedo mestruale
Per stimare il costo di questa misura, l’economista Azzurra Rinaldi avvia la sua analisi partendo dalla retribuzione media annua percepita dalle donne età fertile in Italia, che ammonta a 15.585,25€. Stimando una media di 211 giornate lavorate (dati Istat), la retribuzione media giornaliera ammonta a 74€. Considerando 3 giorni di permesso al mese a donna, come nel caso spagnolo, il costo pro-capite sarebbe di 2664€ all'anno.
Secondo la rilevazione WeWorld-Ipsos sulla povertà mestruale in Italia, il 32% del campione prova dolore durante ogni ciclo e, in media, si perdono 5,6 giorni di lavoro in un anno proprio a causa delle mestruazioni.
Basandoci su questi dati, è possibile ipotizzare un costo di base per le casse dello Stato che ammonterebbe a meno di 1 miliardo di euro all’anno (esattamente a 994,5 milioni), laddove lo Stato si facesse carico del 100% della copertura. Se la copertura fosse al 60%, come previsto ad esempio nel caso del congedo mestruale spagnolo, la spesa a carico delle finanze pubbliche ammonterebbe a 596,7 milioni di euro. Se infine lo Stato coprisse solo la componente contributiva, la quota a suo carico sarebbe solo del 23%, per redditi medi così bassi. In questo caso, la spesa ammonterebbe solo a 228,7 milioni. Considerando nell’ipotesi di calcolo tutte le donne lavoratrici in età fertile, e non soltanto a chi soffre di dismenorrea, il costo complessivo sarebbe di 3,1 miliardi.
Dati che vanno confrontati con le spese previste nella nuova legge di Bilancio, da cui emerge ad esempio che:
- La seconda spesa maggiore previsa dalla legge è quella per le relazioni finanziarie con le autonomie territoriali, pari a 147 miliardi di euro
- Tra gli stanziamenti minori, 33 miliardi di euro saranno spesi per i rapporti dell’Italia con l’Europa e con il resto del mondo, 29 miliardi per la difesa e la sicurezza, 17 miliardi per le politiche per il lavoro, altri 17 miliardi per la mobilità e il trasporto, etc.
“Questi dati – conclude Azzurra Rinaldi – ci aiutano a comprendere come la spesa per il congedo mestruale sarebbe totalmente sostenibile e non andrebbe a impattare in maniera dirompente sulle casse pubbliche. Infatti, anche qualora si decidesse di procedere con una copertura per tutte le lavoratrici in età fertile, e non solo per coloro che soffrono di dismenorrea, la spesa rappresenterebbe soltanto lo 0,25% del totale stanziato nella scorsa manovra finanziaria”.
Leggi qui il report completo su Giustizia Mestruale!