Meno di 2 intervistati/e su 10 declinano sempre le professioni al femminile; il maschile universale è l’espressione più usata anche per indicare gruppi formati soprattutto da donne. Le donne sono più associate a casa, famiglia, figli; gli uomini al lavoro.
Un linguaggio nuovo, un modo diverso di usare le parole, per contrastare sessismo e stereotipi di genere: in occasione dell’8 marzo, Giornata Internazionale della Donna, abbiamo lanciato “Parole di parità - Come contrastare il sessismo nel linguaggio per abbattere gli stereotipi di genere”, un sondaggio sull’uso sessista del linguaggio tra bambini, bambine e adolescenti, con raccomandazioni per contrastare violenza verbale e sessismo proprio a partire dalle parole che utilizziamo tutti i giorni e delle proposte concrete a livello istituzionale.
Curare il linguaggio e il modo che abbiamo di esercitarlo è il primo passo per curare gli stereotipi e la violenza che ne deriva, ma questo traguardo può essere raggiunto solo se iniziamo a prendere coscienza di tutte quelle sfumature linguistiche che sembrano innocue ma che, in realtà, sono portatrici di pregiudizi e discriminazioni. Per questo, abbiamo svolto un sondaggio nei propri centri e progetti educativi in Italia, tra gennaio e febbraio 2023,per comprendere meglio il grado di diffusione del linguaggio sessista, e di conseguenza degli stereotipi di genere, tra le nuove generazioni.
“La violenza di genere assume forme subdole, insinuandosi in comportamenti apparentemente innocui e in stereotipi inconsapevoli, anche nelle parole” commenta Martina Albini, centro studi di WeWorld. “Proprio per questo, promuovere l’uso di un linguaggio non sessista è un passo fondamentale nel percorso di demolizione degli stereotipi di genere di stampo culturale. In questo processo, il linguaggio è uno strumento prezioso: si tratta di uno dei mezzi più semplici e immediati che abbiamo per fare la differenza e contribuire, nella quotidianità, all’eliminazione di quel sessismo che alimenta la cultura patriarcale alla base della discriminazione di genere e della violenza. Per raggiungere questo obiettivo, non basta l’iniziativa individuale e dei singoli, per quanto importante, ma un coinvolgimento politico, sociale, a tutti i livelli, dalla scuola alla famiglia, ai media, che possono svolgere un ruolo fondamentale nell’abbattere gli stereotipi del linguaggio”.
I DATI
Maschile universale
Anche tra gli adolescenti, nel linguaggio quotidiano, il maschile sembra essere universale: più di 1 intervistato/a su 3 dice “Ciao a tutti” anche in presenza di un gruppo a maggioranza femminile; il maschile universale è però preferito dai maschi (43%) rispetto alle femmine (29%).
Guardando alle differenze tra le diverse fasce d’età, i maschi in generale utilizzano più spesso il maschile universale “Ciao a tutti” (8-10 anni 100%, 11-13 anni 48%, 14-16 anni 54%) meno che per la fascia 17-19 anni (21%) tra cui, invece, prevale la formula neutra “Ciao” (58%). Le femmine preferiscono, invece, il più neutro “Ciao” per ogni fascia d’età (8-10 anni 67%, 14-16 anni 64%, 17-19 anni 45%), meno che tra gli 11-13 anni, in cui a parità (35%) vengono utilizzate le formule “Ciao a tutti” e “Ciao”. In generale, la formula meno utilizzata è il femminile universale “Ciao a tutte” per ciascun genere e fascia di età, mentre bambine e ragazze di ogni fascia d’età ricorrono più spesso rispetto ai maschi alla formula più inclusiva “Ciao a tutti e tutte”.
Lavori “da femmine” e “da maschi”
Più di 6 intervistati/e su 10 credono che quello del vigile del fuoco sia un mestiere prettamente maschile; solo il 3% dei ragazzi e il 4% delle ragazze associa la parola “Presidente” a una donna, contro il 43% e il 51% agli uomini. Al contrario, la professione dell’insegnante è associata solo agli uomini nel 2% dei casi, contro il 38% alle donne.
Poco meno di 2 intervistati/e su 10 declinano sempre le professioni al femminile; il 26% dei maschi non declina mai le professioni al femminile, contro l’8% delle femmine.
Veri uomini, vere donne
Persistono, nell’immaginario collettivo delle nuove generazioni, gli stereotipi di genere in casa e famiglia: il 14% dei maschi intervistati pensa che un uomo che si prende cura della casa e dei figli/e sia un mammo, contro il 4% delle femmine; 1 intervistato/a su 5 definisce “donna con le palle” una donna forte e capace nel suo lavoro. Tra i maschi, è il 29% a utilizzare questa espressione contro il 13% delle femmine.
Come definiamo donne e uomini?
La nostra ricerca prevedeva anche domande aperte che chiedevano a intervistate e intervistati di indicare tre parole per definire gli uomini e le donne.
In generale, per definire le donne, bambine e ragazze hanno optato per caratteristiche come forza, coraggio, intraprendenza, responsabilità e intelligenza. Guardando alle diverse fasce d’età, tra le bambine ricorre anche l’associazione con la figura della madre (mamma, maternità), la famiglia e la cura della casa, ma anche con aspetto fisico e abbigliamento (tacchi, rossetto, vestiti, trucchi, ecc.). Tra le ragazze più grandi, invece, sono state citate parole relative alla sfera dei diritti o delle discriminazioni: lotta, lavoro, emancipazione.
Mentre tra le femmine l’associazione donna-madre o donna-casa è minoritaria e limitata alla fascia d’età 8-10 anni, tra i maschi è più trasversale: ricorrono parole come mamma, madre, cucina, casalinga, figli, e associazioni con l’aspetto fisico (bellezza, trucchi, profumo). Tra i bambini, vengono citati i capelli lunghi come tratto distintivo che distingue le femmine dai maschi. Emergono anche due parole che sottendono forme di sessismo benevolo, espressioni che mirano a idealizzare le donne, come “da proteggere”, o “multitasking”.
Per descrivere, invece, gli uomini, bambine e ragazze usano molti termini associati al mondo del lavoro fuori casa, in misura maggiore rispetto a quanto riportato per le donne. Ricorre anche l’associazione uomo-padre, ma è meno frequente di quella donna-madre. Trasversale alle diverse fasce d’età è l’associazione con la prestanza fisica, lo sport e la forza. Emergono poi diverse caratteristiche negative: gli uomini vengono descritti come bugiardi, arroganti, e spesso associati all’aggressività. Tra i bambini, gli uomini sono associati a figure maschili della famiglia: non solo il padre, ma anche nonni, zii o fratelli; tra i ragazzi più grandi, invece, emerge la componente dell’aspettativa sociale: gli uomini hanno più doveri e responsabilità.
Educazione alla parità di genere
Quasi 1 intervistato/a su 5 (18%) afferma di non parlare mai di temi legati alla parità di genere a scuola; la maggioranza (61%) dice di parlarne “Qualche volta”, segno del fatto che questi insegnamenti non sono ancora stati sistematizzati nelle scuole italiane. In particolare, nella scuola primaria nessuno degli intervistati/e afferma di affrontare questi temi spesso o sempre.
PER UN LINGUAGGIO NON SESSISTA: LE RACCOMANDAZIONI
Come educare, dunque, alla parità di genere e all’inclusione anche attraverso il linguaggio? WeWorld riprende le principali raccomandazioni su uso non sessista della lingua italiana, scritte da Alma Sabatini, saggista e insegnante italiana, che hanno avviato il dibattito nel nostro paese:
- Evitare l’uso delle parole “uomo” e” uomini” in modo universale, cioè per riferirsi all’intero genere umano, e adottare espressioni più inclusive come “persona o persone”.
- Evitare, nelle coppie uomo/donna, di dare sempre la precedenza alla forma maschile rispetto a quella femminile: per esempio, anziché “uomini e donne” o “fratelli e sorelle”, sarebbe preferibile invertire l’ordine e parlare di “donne e uomini” e “sorelle e fratelli”.
- Evitare di usare il participio passato maschile per riferirsi a un insieme di nomi di prevalente genere femminile. In questo caso, la forma più inclusiva declina l’aggettivo secondo il genere maggioritario: per esempio, anziché “Carla, Maria, Francesca e Matteo sono arrivati”, sarebbe più corretto dire “arrivate” in quanto ci si riferisce a tre donne e un uomo.
- Evitare di riferirsi alla donna usando solo il nome proprio e all’uomo usando nome e cognome.
- Evitare di usare il maschile per professioni, mestieri e cariche quando la forma femminile esiste: per esempio, sarebbe preferibile parlare di “amministratrice” anziché “amministratore”, di “segretaria generale” anziché “segretario generale”, di “consigliera comunale” anziché “consigliere”, eccetera.
- Evitare di usare la forma maschile o il suffisso -essa per cariche e professioni per cui esiste la regolare forma femminile o la forma con suffisso in -a (ad esempio, “senatrice”, “notaia”, “scrittrice”, “rettrice”, “redattrice”, “avvocata”, “deputata”, “magistrata”, “prefetta”).
- Evitare di usare nomi epiceni (cioè che hanno stessa valenza al maschile e al femminile) al maschile o con articoli maschili. Meglio, per esempio, dire “la parlamentare” anziché “il parlamentare” (o il parlamentare donna), “la preside” anziché “il preside”, “la presidente” anziché “la presidentessa” o “il presidente”, “la leader” anziché “il leader”.
LE PROPOSTE DI WEWORLD
Secondo noi, però, l’iniziativa individuale non basta. Servono azioni collettive e di sistema, per generare un vero cambiamento culturale. Proponiamo quindi, tramite l’azione concertata del Ministero dell’Istruzione, del Ministero dell’Università e della Ricerca e del Dipartimento per le Pari Opportunità, di istituire percorsi curriculari obbligatori di educazione alla parità di genere, al rispetto delle differenze e al contrasto agli stereotipi di genere dalla prima infanzia fino al terzo ordine di scuola, per bambini/e, adolescenti, giovani e personale scolastico.
Per gli studenti universitari, poi, dovrebbero essere resi obbligatori per la formazione di quelle figure professionali coinvolte nella prevenzione e nel contrasto al fenomeno (medici, infermieri, avvocati, operatori sociali, ecc.). Inoltre, dovrebbero essere obbligatori per il personale scolastico, anche per contribuire a sviluppare una maggiore sensibilità a individuare situazioni familiari a rischio di violenza.